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Inconsistente come le Sardine PDF Stampa E-mail

2 Maggio 2023

Al cittadino le faccende che realmente interessano, che lo premono, che decidono della sua vita sono quelle che la Schlein finora ha trattato solo con formulette che dicono tutto e non dicono nulla. Cosa significa “giustizia climatica”, per esempio? Oppure, quando sostiene di voler lottare contro la precarietà lavorativa, in quale modo vorrebbe di preciso affrontarla e risolverla? E il famoso salario minimo, a quali condizioni? E i diritti, detti così, genericamente, se sono sociali, ovvero collettivi, sono un conto (ad esempio, i diritti riguardanti una determinata categoria di lavoratori), se sono individuali (il matrimonio gay, che lo schleiniano Alessandro Zan ha rilanciato nell’ultima proposta di legge depositata in parlamento), sono un altro conto. Ebbene, per la Schlein vanno in coppia. E sia. Ma con quale priorità? Perché la politica è fatta anzitutto di tempi, di dosaggio, di agenda. Ma del resto, le supercazzole in perfetta continuità col passato in cui ha già abbondato la segretaria della “svolta”, dal sì alle armi in Ucraina al sì all’inceneritore di Roma, sono lì a dimostrare che è l’ambiguità il suo marchio distintivo, a voler esser buoni. Un’ambiguità che ha la radice nell’inerzia sostanziale all’interno del Partito Democratico, un partito di potere e di establishment a tutti i livelli (...). I fan replicheranno che bisogna darle tempo, che ha appena rinnovato il vertice mettendo i suoi, e che difatti qualche iper-moderato ha alzato i tacchi. Ma è sull’inconsistenza delle idee e delle proposte, apparentemente “nuove” per distacco minimo da Bonaccini, che la Schlein andrebbe messa sotto torchio. Altrimenti, tocca prenderla in giro sugli abbinamenti fra giacca e pantaloni, sul “trench sartoriale” da preferire all’“eskimo”. Sì, la soluzione del rebus è questa: ha optato per Vogue perché sapeva che su quelle colonne se la sarebbe cavata dicendo quel che sa dire benissimo. Cioè niente. Ma chi lo sa, nel nichilismo imperante può essere pure che, nei sondaggi, la collaudata tecnica dell’arma di distrazione di massa paghi. Magari di uno zero virgola. Buttalo via.

Alessio Mannino

 
Vendipatria PDF Stampa E-mail

30 Aprile 2023

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 Da Appelloalpopolo del 25-4-2023 (N.d.d.)

La Regina della Propaganda, Myrta Merlino, non dovrebbe chiedere al liberale Cassese se la Costituzione sia antifascista, ma se sia anti liberista. Ma vogliono infantilizzare il pubblico di consumatori televisivi e quindi si parla dell’acqua calda e si usa il “fascismo” e l’ “antifascismo” per mascherare la realtà e per parlare del nulla. Come da più di 30 anni a questa parte. E intanto le quattro noci uscite dal sacco continuano a moltiplicarsi disattivando la Costituzione, calpestando i nostri valori, facendo evaporare la democrazia e azzerando i nostri diritti sociali, mentre sventolano la bandiera rainbow o quella del “sovranismo”.

Il problema non sono i “fascisti” (che sono sempre l’effetto della causa liberale) ma i liberali, di destra e di sinistra, che, nascondendosi dietro al giochino del “fascismo” ed “ antifascismo“, hanno tradito lo spirito patriottico della Resistenza ed hanno stracciato la Costituzione del ‘48, hanno abbracciato con entusiasmo questo sistema antidemocratico, hanno svenduto la sovranità, hanno smantellato lo Stato e tutto ciò che è pubblico, riportandoci economicamente nell’ ‘800 e, strutturalmente, dentro un moderno Ancien Regime, blustellato.

E adesso festeggiate o non festeggiate il 25 aprile, vendipatria siete e vendipatria restate, proni ai nuovi occupanti, come lo eravate nel ‘43.

Alessandro Ape

 
Quando c'è la dittatura PDF Stampa E-mail

28 Aprile 2023

 Da Rassegna di Arianna del 25-4-2023 (N.d.d.)

La dittatura è  quando il governo si attribuisce poteri speciali a tempo indeterminato,  quando non c'è opposizione, quando c'è il coprifuoco per strada, quando puoi uscire di casa solo per approvvigionarti di cibo e medicine e comunque con un' autorizzazione, quando la polizia ti insegue per multarti, quando le strade sono presidiate dai blindati e i droni controllano i cieli.

La dittatura è quando è vietato assembrarsi al chiuso e anche all'aperto, quando c'è il divieto di uscire dopo una certa ora, quando cinema, teatri, stadi e locali vengono chiusi, quando le funzioni religiose vengono limitate, quando i centri di aggregazione culturale vengono chiusi, quando l'istruzione e la scuola vengono sottomesse al potere.

La dittatura è quando i convegni sono vietati, è vietato manifestare, quando la gente comune fa la spia per ingraziarsi il potere, quando viene negato il diritto al lavoro e alla libera impresa, quando vengono sospese le libertà costituzionali .

La dittatura è quando la stampa diventa un organo di propaganda, quando chi la pensa diversamente viene censurato, messo in cattiva luce o segnalato con cartelli o bollini di inattendibilità o addirittura minacciato di perdere il lavoro, quando alcune persone vengono discriminate.

La dittatura è quando hai bisogno di un buon motivo per uscire di casa, quando inizi a diffidare del tuo vicino, quando una parte degli scienziati per paura o per tornaconto si allinea al pensiero dominante mentre l'altra viene denigrata e zittita.

La dittatura è quando il dissidente viene considerato un infetto e la causa di tutti i problemi, quando  alcune categorie vengono obbligate ad accettare trattamenti sanitari, quando le persone vengono schedate, tesserate e ne vengono monitorati gli spostamenti, quando alcuni sono obbligati a restare in casa, quando la gente viene ridotta alla fame.

La dittatura è quando il potere ti obbliga ad indossare un segno di sottomissione, quando devi applicare cartelli fuori al tuo ufficio o al tuo esercizio commerciale per dimostrare la tua fedeltà al regime, quando la polizia ti chiude l'attività se non lo fai.

La dittatura è quando il regime vuole sapere perfino cosa fai a casa tua e chi fai entrare, quando la gente è spaventata ed esegue ordini e procedure assurde senza più pensare a quello che sta facendo, quando inizia a pensare che la sicurezza venga prima della libertà.

La dittatura è quando gli stolti non si accorgono di essere in dittatura.

Denis De Paoli

 
La condizione spirituale del nostro tempo PDF Stampa E-mail

26 Aprile 2023

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 Da Rassegna di Arianna del 24-4-2023 (N.d.d.)

Potrebbe sembrare retorico domandarsi qual  è la condizione spirituale del nostro tempo. In verità prima di rispondere bisogna comprendere che cosa s’intende per spirito e “condizione spirituale”. Hegel, che è stato il filosofo che più di ogni altro ha analizzato tale problematica nella sua essenza, affermava che lo spirito umano (Geist) è  l’“Io che è Noi, Noi che è Io”, ovvero la coscienza di essere coscienti di vivere con gli altri. In altre parole lo spirito umano è Autocoscienza. Inoltre, con ciò egli intendeva dire che i nostri singoli “io” non possono che appartenere alla comunità, la quale corrisponde, direttamente o indirettamente, al “noi”. Da questa semplice frase si capisce benissimo, che, nel nostro tempo, con particolare riferimento   alla ex-cultura occidentale, l’io è senza il noi e viceversa. La comunità, che è colei che custodisce la storia condivisa di un popolo, è oramai dissolta e gli “io” sono solo delle parvenze alienate portatrici di un narcisismo insensato e malato. Gli “io”, che vivono soprattutto nelle grandi metropoli, sono diventati, come si dice,  degli “io” minimi, atomi solitari, che solo i “circenses” riescono a raggruppare. È chiaro, quindi, che viviamo in un’epoca di profondo caos. Ma la domanda non può ricevere una risposta adeguata se non si analizzano, seppur stringatamente, quelle che Hegel chiamava le espressioni massime con le quali lo spirito si manifesta concretamente nel divenire storico: ossia l’arte, la religione e la filosofia. Come, del resto, si può negare questo? Quando nella storia umana si sono affermate delle straordinarie civiltà, ciò è stato possibile solo quando l’arte, la religione e la filosofia si sono potute dispiegare totalmente e unitariamente all’interno dei singoli popoli, consentendo ad essi di sviluppare una  propria, specifica e originale creatività. A questo punto si può  riprendere la domanda iniziale. Se è vero che arte, religione e filosofia costituiscono lo spirito umano nella sua totalità, bisogna allora chiedersi che cosa esse significano e com’è il loro status attuale. Anche in questo caso il pensiero  del filosofo di Stoccarda ci può essere di grande aiuto. Cerchiamo di spiegarlo brevemente.

Queste tre manifestazioni essenziali dello spirito umano sono intrinsecamente legate fra loro, e quindi compongono l’Uno unificante. Esse differiscono solo nella forma, cioè nel modo di essere, poiché l’arte è l’intuizione (sensibile) assoluta dello spirito, la religione è il sentimento e la rappresentazione immaginifica rivolta verso l’Infinito, la filosofia l’autocoscienza concettuale. Ma al di là delle differenze specifiche, il loro legame, si diceva, è indissolubile, per cui se dovesse declinare in un determinato periodo storico una delle tre forme, anche le altre due illanguidirebbero. Noi  proveniamo da un mondo storico che ha rivelato, grazie a codeste manifestazioni, stupefacenti esempi che ancora oggi ci lasciano sbalorditi per la loro prodigiosa magnificenza, un mondo che ora sta precipitando dentro un abisso senza forme né contenuti. Già ai tempi di Hegel, che era un filosofo ottimista poiché propugnava il trionfo della ragione,  due grandi filosofi idealisti che furono suoi contemporanei, intravedevano che l’epoca, in cui ora stiamo vivendo, è quella della “compiuta peccaminosità” (Fichte) o come l’epoca in cui la sostanzialità del male rimaneva pur sempre presente nella vita degli uomini (Schelling). Per non parlare dell’altro loro contemporaneo, ovvero del poeta Hölderlin che annunciava la fuga degli dèi dal mondo. Dopo di loro ci furono Schopenhauer, Freud e Nietzsche che teorizzarono e predissero il dominio della irrazionalità e del nichilismo assoluto. Ed ora con l’estensione totalitaria della tecnica (il cosiddetto “Gestell” heideggeriano) al servizio del sistema capitalistico si ha quella regressione, che sembra per il momento inarrestabile, della spiritualità umana, tanto che ormai è superfluo ribadire il già scritto: la caduta verso l’amorfo è già avvenuta.

Si tratta perciò  di riflettere su quelle tre espressioni spirituali di cui si scriveva. Ora, se le si esamina singolarmente, si può constatare che l’arte congiunta al bello si è scissa da esso ed è in via di sparizione: anzi  essa è l’esempio più evidente, proprio perché si esprime coi sensi, della degenerazione attuale. Tutte le religioni esistenti a causa  dell’eclisse del sacro si sono sdivinizzate di fronte alle sfide della tecnica planetaria, perdendo sempre più forza e  adesioni. La filosofia, poi, ha abdicato quasi del tutto al suo sapere, ritraendosi dal rapporto metafisico con l’Essere-pensiero,  e trasformandosi così in  una scettica epistemologia. In ragione di questo collasso si comincia ad ipotizzare che solo una religione vecchia o nuova che sia, potrebbe indicare la via di una rinascita spirituale. Heidegger riconobbe la realtà storica di questo immane scacco invocando un “Ultimo Dio” che alcuni “Uomini Venturi” avrebbero un giorno annunciato. Tale religione chiaramente dovrebbe scaturire da una profonda esigenza interiore, conscia dell’abisso in cui si è caduti. Lo stesso Hegel riconosceva nel sentimento religioso una forma necessaria della vita dello spirito: essa è una filosofia in simboli, una rappresentazione sentimentale di Dio, sebbene  egli ritenesse possibile pervenire  al sapere assoluto solo con la filosofia, in quanto espressione massima della conoscenza concettuale umana. Ma la filosofia oggi è scritta dagli ingegneri, dai fisici, e dagli scienziati vari. Lo stesso Heidegger, per esempio, si affidava più al poetare piuttosto che alle elaborazioni teologiche e metafisiche.

In questo contesto in cui il vuoto cosmico sembra pervaderci, C.G. Jung, distaccandosi nettamente da Freud, pensava che una eventuale guarigione personale o anche comunitaria, dipendesse dal nostro inconscio collettivo, il quale, pur autonomo rispetto alla coscienza, ma comunque complementare ad essa, era ed è la sede in  cui si mantengono sempre presenti immagini primordiali universali, che lui chiamava archetipi. I principali di questi sono quello della Madre, degli animali, dell’anima femminile e dell’animus maschile, della persona e dell’archetipo del sé. Tutti gli studiosi di Jung, poi, sono concordi di indicare come il più importante fra questi sia l’archetipo del sé. Esso permette all’individuo di trovare non solo se stesso, ma anche un vero legame fra gli uomini, poiché è innata la tensione dell’uomo verso l’unità che costituisce la forza aggregativa formatrice  della singola personalità. Il solipsismo appartiene, quindi, ai folli. Lo stesso grande studioso delle religioni, M. Eliade, pur non trattando i temi della psicologia del profondo propri di Jung, riteneva che in tutte le civiltà umane fossero presenti dei modelli esemplari, dei paradigmi, che risalgono all’inizio dei tempi storici. Egli scriveva che ci sono fatti “… che ci mostrano come la realtà è conferita dalla partecipazione al simbolismo di centro: le città, i templi, la case diventano reali per il fatto di essere assimilate al centro del mondo; fatti che ci mostrano che per l’uomo arcaico la realtà è tale in quanto imitazione di un archetipo celeste; infine ci sono rituali e gesti profani che realizzano il senso a loro dato soltanto perché ripetono deliberatamente certi atti posti ab origine da dèi, da eroi o da antenati” . Pur in ambiti diversi questi due pensatori affermavano perciò che la spiritualità umana proviene da tempi remoti e che è ancora presente in noi, sebbene sia celata dal frastuono del macchinismo moderno. Anche gli studi di etnologi recenti, a cominciare da Padre Wilhelm Schmidt, cercano di dimostrare che già nel mondo cosiddetto primitivo o antropoarcaico la religiosità degli umani non discendeva né dalla paura degli eventi naturali, né dall’animismo, né dal feticismo, né dalla magia: né, tanto meno, era il prodotto, come sosteneva il famoso filosofo delle religioni Rudolf Otto, dall’irrazionale. Ormai molti studiosi concordano sul fatto che in molti popoli antichi, non in tutti invero, prevaleva l’idea dell’Essere supremo.  Infatti, da quando l’uomo divenne homo operans,  egli aprì  il proprio spirito alla divinità, poiché col lavoro si sviluppò nel suo pensiero il principio di causa, che è il nostro principio logico più potente. Egli così cominciò a capire che il tutto era un creato forgiato da una infinita intelligenza. Persino la fisica quantistica oggi conferma che la mente di Dio pervade tutto l’infinito essere. Ma anche ammettendo che la religione venga prima, dinamicamente, dell’arte e della filosofia, non si notano nei nostri giorni segni di un risveglio religioso a livello mondiale. Coloro che seguono il loro Dio sono sempre meno numerosi e sempre più smarriti. Nemmeno lo scrivere libri ispirati dalla fisica quantistica con uno sfondo teologico  smuovono il torpore collettivo. La spiritualità è come se fosse caduta nella dimensione del più senile degli ottundimenti. La dittatura del denaro e della tecnica servile domina incontrastata. A questo punto mi viene in mente il frammento 53 di Eraclito: “ Il conflitto è padre di tutte le cose e di tutte è re: gli uni fece dei, gli altri uomini: gli uni servi, gli altri liberi”. Lo stesso Hegel, dopo più di 2.000 anni rispetto a Eraclito, sancirà che la guerra, alla fine, risolverà tutti i problemi. La guerra attuale, che è mondiale, stabilirà per secoli il  destino umano: e forse oggi è molto più rivoluzionario di tutti noi quell’operaio americano, tal Kid Rock, che col mitra spara ad una cassa di birra Bud Light sponsorizzata da un transgender. Chiaro esempio di come la filosofia della prassi superi quella teoretica.

Flores Tovo

 
Lo spauracchio del fascismo PDF Stampa E-mail

25 Aprile 2023

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 Esauriti gli argomenti sociali, la sinistra ha cambiato pelle, testa e cuore. Ha seguito le scie profumate del progresso e scelto di disfarsi dei cenci puzzolenti di chi il progresso lo paga in sudore, salute e non solo. Ha preferito genuflettersi alla chiesa del capitalismo, del globalismo, dell’ordoliberismo. Una trinità con i suoi comandamenti. Tra cui quello dei diritti civili. Uno degli occulti grimaldelli con i quali sta scardinando il tempio dell’umanesimo. Per loro non c’è nulla di sacro all’infuori del caterpillar con il quale spianano il passato per rendere il presente un’eternità uniforme, priva di differenze, per loro pragmaticamente inutili, superflue, anzi pericolose.

In tutte queste belle battaglie in nome del nostro bene, ha gettato via nel tempo tutto. La tuta, le mani sporche, la famiglia, il socialismo, l’uguaglianza, la cura dei lavoratori e dei disoccupati – una volta rispettivamente proletari ­e sottoproletari –, le battaglie per il divario di classe, il diritto al lavoro, alla casa e ai servizi sociali, le speranze di un popolo, gli ideali di giustizia e, con esso, tanti altri.  Ma non ha mai rinunciato a disfarsi dello spauracchio del fascismo. Ha comandato la cultura dal dopoguerra fino ad ora e non ha voluto risolvere civilmente, politicamente la questione. Anzi, tutta la sua politica ha sempre utilizzato come coagulante la retorica dell’antifascismo. Ancora oggi, nonostante il rischio fascista sussista in diluizione omeopatica, quantomeno in Italia. Per l’Ucraina, dove è invece presente in quantità nazista, i progressisti buttano il bilancino e sotterrano la testa. Se fino agli anni della strategia della tensione e delle stragi di stato non era possibile smontare da quel suo cavallo di battaglia, dalla Milano da bere in poi il cavallo è diventato di Troia. Le è servito per entrare e restare nelle menti che, in ritardo sul presente, credevano ancora di essere la sinistra; che non avevano visto che la barca faceva acqua e il comandante stava scaricando a mare, un po’ alla volta, tutta la pesante, tradizionale, storica ricchezza del naviglio. Ora, dopo averlo sentito dire da tutte le parti e da più tempo, ma mai ascoltato, si interroga sulla percentuale residua, di quel suo popolo andato eroso, che per cieco fideismo non ha avuto la forza di ammutinare. E si risponde che deve tornare in strada, nelle piazze, che deve riprendere il contatto con la vita reale. A vederla da fuori, la vicenda corre sul filo dell’improbabile, in bilico, pronta a cadere tanto dalla parte della farsa, quanto da quella opposta, dell’orrore. I traditori, prima di altro, dovrebbero chiedere perdono.

Ma le cose che contano sono altre. Di fatto è prona, a culo in su, pronta a ricevere i fallici ordini dall’Europa, dal Mercato, dai paladini Americani della libertà. Pronta a sventolare una nuova Norimberga contro Putin, senza vergogna, fino al punto di dire “così i paesi come l’India, il Pakistan, il Brasile [i paesi del Brics, N.d.A.] capiranno cosa vuol dire avere relazioni con Putin”. Nella totale refrattarietà a comprendere dove ci ha portato soprattutto la sua politica, non le resta che puntare tutto sui froci e compagnia arcobalenante. Compagine composta da persone tutte rispettabili, strumentalmente sfruttate in funzione della demolizione dei pilastri portanti di identità individuali, sociali, nazionali. La sinistra, e ormai la politica tutta, preferisce Ursula e Joe. Non interessa che sotto il tailleur e il completo della democrazia schierano lobby d’interesse, corpi le cui carte di credito possono acquistare stati e ottenere politiche utili a mantenere il potere. Altrimenti perché, nonostante le loro parole imbrattate di diritti civili, non si occupano di Assange, degli Yemeniti e di tutti i depredati? Perché, invece di proteggerle, cancellano le culture? In un mondo mercificato, la risposta è la solita: perché non rendono. L’impegno europeo della sinistra è massimo. È una ulteriore dichiarazione di radicale abbandono delle coste lavoratrici in cui aveva regnato. Il suo nuovo comando lo esprime. Ma la sua azione, spiritualmente vuota, vuole ancora essere riempita con l’imperituro dagli al fascista. Basta un tafferuglio tra parti politiche differenti per puntare il piede di porco sul presunto granello nero, il solo dell’arenile. Senza la coperta che tira da più di settant’anni, non si sente esistere e dei suoi peccati gravi non si cura, né fa ammenda. Nelle loro giacche di tweed e scarpe di para, non si stanno avvedendo del più importante risultato della loro politica. Nient’altro che una silente e profonda spinta, che induce sempre più persone a cercare la salvezza in qualcuno che spazzi la miseria materiale e spirituale in cui versiamo. Persone che non aspettano altro che il momento in cui poter dire “finalmente!”. L’assuefazione al degrado politico, che la sinistra crede senza limite, non è parte della fisiologia di tutti. Anzi, lo è via via meno. Il rigurgito nei confronti dello scempio sociale di cui è stata ed è protagonista, è sempre più evidente. E sempre più premessa di un epilogo grave. Verrà il momento dell’uomo forte, quello che una sana società non avrebbe mai germinato?

Lorenzo Merlo

 
La battaglia dell'Atlantico PDF Stampa E-mail

23 Aprile 2023

 Da Rassegna di Arianna del 19-4-2023 (N.d.d.)

Il centro gravitazionale della competizione tra grandi potenze si sta allargando dall’Asia-Pacifico all’Emisfero occidentale, ovvero le Americhe, dove l’asse Mosca-Pechino sembra intenzionato a sfidare l’egemonia di Washington. Primakov e Wang contro Monroe. Nella consapevolezza del fatto che la sostenibilità dell’egemonia globale degli Stati Uniti sia legata all’esistenza della dottrina Monroe, e in risposta all’aggravamento della competizione tra grandi potenze in Eurasia, Russia e Repubblica popolare cinese hanno deciso di avviare uno scontro a lungo in fermento: la battaglia dell’Atlantico. La fine della fase della stabilità strategica e della competizione concordata. L’inizio di un ciclo di imprevedibilità avvolgente periferie e linee rosse. La Battaglia dell’Atlantico, per la demolizione della dottrina Monroe e per il superamento del sistema internazionale occidentalocentrico, cioè per la costruzione di un ordine post-americano. È questo il contesto in cui va letto e inquadrato il grand tour latinoamericano di Sergej Lavrov.

Il grand tour latinoamericano di Lavrov, l’architetto della politica estera di Vladimir Putin dal lontano 2004, è iniziato a Brasilia, la capitale della prima potenza del subcontinente, e non avrebbe potuto essere altrimenti. La Russia vuole massimizzare il profitto derivante dal ritorno al potere di un vecchio amico, Luiz Inácio Lula da Silva, al quale deve la nascita del formato BRICS, il fallimento dell’ALCA e, più di recente, lo schieramento velatamente filorusso di gran parte dell’Iberoamerica nella guerra in Ucraina. Accolto col tappeto rosso, letteralmente, Lavrov è stato inviato in Brasile per conferire con l’omologo Mauro Vieira e per incontrare Lula in persona, di ritorno da un viaggio che l’ha portato fra Pechino e Abu Dhabi. Posti centrali nell’agenda verdeoro di Lavrov saranno occupati da guerra in Ucraina, dedollarizzazione negli scambi paese-paese e internazionali, potenziamento dei BRICS, ma i tre hanno in programma di discutere anche di “commercio e investimenti, scienza e tecnologia, ambiente, energia, difesa, cultura ed educazione”. Lavrov è in Brasile perché Lula è un tenace sostenitore della dedollarizzazione, nonché un appartenente alla scuola del sempreverde bolivarismo, ma dietro la puntata verdeoro potrebbe esserci dell’altro. Secondo fonti di InsideOver, sentite alla vigilia del grand tour, la Russia sta cercando di spianare la strada al ritorno del Venezuela nel club latinoamericano e confida nel supporto del Brasile. La fine dell’isolamento diplomatico del regime chavista, destabilizzato dall’amministrazione Trump con l’aiuto variegato della presidenza Bolsonaro, assesterebbe un duro colpo alla strategia della massima pressione degli Stati Uniti nei confronti della cosiddetta “Troika della tirannia”, ovvero il triangolo Caracas-L’Avana-Managua, risultando l’equivalente latinoamericano della normalizzazione tra Siria e Lega Araba. Lula e Nicolas Maduro avrebbero dovuto incontrarsi lo scorso gennaio a Buenos Aires, ai margini dell’ultimo vertice della Comunità di Stati Latinoamericani e dei Caraibi, ma le pressioni della presidenza Biden e il peso del tentato putsch bolsonarista al Palácio do Planalto spinsero il presidente brasiliano a fare un passo indietro. Oggi, però, sicuro del sostegno del duo Putin-Xi e indebolito il partito bolsonarista nelle istituzioni, Lula potrebbe essere pronto a benedire il ritorno della Venezuela nella famiglia latinoamericana nel nome dell’integrazione sudamericana.

Il grand tour latinoamericano di Lavrov, il primo dal 2020, avrà altre mete dopo il Brasile, cioè Venezuela, Nicaragua e Cuba, e terminerà il 21 aprile. Venezuela, Nicaragua e Cuba, tre paesi che per gli Stati Uniti rappresentano la Troika della tirannia e che per la Russia sono, invece, il Triangolo della resistenza. I destini della Battaglia dell’Atlantico passano da qui. I tre paesi hanno supportato la narrazione russa degli eventi bellici in Ucraina, insieme al resto del subcontinente hanno rifiutato ogni prospettiva sanzionatoria nei confronti della Russia, e costituiscono il nocciolo duro dell’antiamericanismo della regione. Questo è il ventre molle dell’America nelle Americhe. È all’interno di questo triangolo che si trovano gli assetti paramilitari e di intelligence schierati da Mosca nel subcontinente, dai consiglieri del Gruppo Wagner in Venezuela alla base sigint in Nicaragua, ed è qui che le probabilità di uno o più remake della crisi missilistica cubana sono più elevate che altrove. Qui i porti sono già aperti all’attracco di navi militari russe, la cooperazione militare e securitaria è già estesa – la Russia è la principale rifornitrice di armi di Nicaragua e Venezuela – e circolano voci sull’inaugurazione di basi militari russe dai primi anni 2010.

Se la fermata verdeoro è stata programmata allo scopo di capitalizzare le aspirazioni egemoniche di Lula, il tour nel ventre molle dell’America nelle Americhe serve a ribadire un supporto che, fino alla pandemia di COVID19, sembrava essere in procinto di scemare. Un do nell’attesa che arrivi il momento del des. I tre paesi abbisognano di ossigeno, sotto forma di investimenti, cooperazione allo sviluppo e aiuti umanitari, che Mosca ha ed è disposta a dare. I tre paesi abbondano di risorse naturali, dagli idrocarburi ai metalli preziosi, ma non hanno i mezzi per estrarle e le sanzioni occidentali gli impedirebbero di venderle; la Russia ha dei giganti minerari ed energetici che potrebbero sia scavare sia agire da acquirenti e/o da intermediari. I governi dei tre paesi temono insurrezioni sobillate dall’esterno, la Russia ha gli strumenti per sopprimerle.

Lavrov è in Latinoamerica per catalizzare il processo di dedollarizzazione, propedeutico al rafforzamento del rublo e alla sponsorizzazione di MIR e famiglia, e per stuzzicare le fantasie di rivolta all’egemonia americana che imperversano da Città del Messico a Buenos Aires. Perciò i tentativi di solleticare l’irredentismo messicano, cioè la questione delle terre cedute agli Stati Uniti fra il 1845 e il 1848, che sanno di provocazione dal sapore guglielmino – il telegramma Zimmermann. E perciò la pubblicazione di un lungo articolo sulle relazioni Russia-Latinoamerica, scritto da Lavrov in persona, alla vigilia del primo grand tour della diplomazia russa dalla formulazione del nuovo Concetto di politica estera. L’aspettativa del Cremlino è di accendere un interesse collettivo nella Russia, presentata agli occhi dei politici e delle masse come una forza liberatrice, in maniera tale da avere un ricco mazzo di carte da giocare contro l’America nelle Americhe. Nell’attesa dello showdown.

Emanuel Pietrobon

 
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